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Aspetti giuridici del contratto di sviluppo di software

L’assenza di una disciplina legislativa specifica, da un lato e l’avvenuta introduzione dei programmi per elaboratore tra le opere dell'ingegno, dall’altro, rendono opportuno un esame della disciplina giuridica applicabile al contratto di sviluppo di software.

a cura dell’avvocato Annarita Gili

Il contratto di sviluppo di software è un contratto atipico,

cioè non appartiene a nessuno dei «tipi» specificatamente disciplinati dall'ordinamento, ed è, perciò, regolato dalle clausole contrattuali volute dai contraenti, purché siano compatibili con i principi generali dell'ordinamento giuridico, oltre che dalle norme generali in materia di contratti, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1323 cod. civ.

Sono quindi applicabili, per esempio, le regole in materia di interpretazione dei contratti (artt. da 1362 a 1371 cod. civ.). Si segnala, in particolare: l’art. 1362 cod. civ., in base al quale, nell’interpretare un contratto, non ci si deve limitare «al senso letterale delle parole», ma «si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti», valutando il loro comportamento complessivo, anche successivo alla conclusione del contratto; l’art. 1366 cod. civ., in base al quale «il contratto deve essere interpretato secondo buona fede».

Per tutto ciò che non è espressamente previsto dal contratto, si fa ricorso, in via interpretativa, alla normativa che regola contratti tipici analoghi o affini.

Contratti tipici analoghi o affini al contratto di sviluppo di software

Una parte dei commentatori ha ritenuto che il contratto di sviluppo di software debba essere integrato, per gli aspetti non previsti, dagli articoli da 1655 a 1677 cod. civ., in materia di contratto d’appalto d’opera. Secondo altri, a seconda che il soggetto incaricato dello sviluppo del software sia un imprenditore o un professionista, si deve applicare la disciplina dell’appalto, oppure quella del contratto di prestazione d’opera (artt. 2222–2228 cod. civ.).

Qualunque dei due contratti venga applicato, comunque, il committente acquista la proprietà del software sviluppato con l’accettazione e il pagamento del prezzo.

Quanto sin qui considerato, però, deve ora essere messo in relazione con la legislazione in materia di diritto d’autore.  

Contratto di sviluppo di software e diritto d’autore  

1. L’introduzione dei programmi per elaboratore tra le opere dell’ingegno, protette dalla legge sul diritto d’autore (l. 22 aprile 1941, n. 633)

Il decreto legislativo 29 dicembre 1992, n. 518 – emanato in attuazione della Direttiva 91/250/Cee – nell’elenco delle opere protette dalla legge sul diritto d’autore, contenuto nell’art. 2 della legge stessa, ha aggiunto un nuovo punto 8) che menziona espressamente «i programmi per elaboratore, in qualsiasi forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore», precisando che «il termine programma comprende anche il materiale preparatorio per la progettazione del programma stesso».

Oggetto di protezione sono, dunque, se dotati di originalità, sia il programma che il materiale preparatorio; quest’ultimo, si ritiene, «purché di natura tale da consentire la realizzazione di un programma in fase successiva».

Restano, invece, esclusi dalla tutela accordata dalla legge «le idee e i principi che stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue interfacce». Questa precisazione è stata per lo più interpretata nel senso che restano esclusi dalla tutela accordata dalla legge sul diritto d’autore i programmi (o le parti di programma) costituiti da sequenze logiche necessitate (inscindibilità forma–contenuto), oppure assolutamente banali e di routine e quindi prive di una sia pur minima originalità.

Quanto, invece, ai criteri per individuare nel software il requisito dell’originalità, richiesto dalla legge, la giurisprudenza ha rivelato un atteggiamento decisamente “benevolo” nei confronti delle software house, abbracciando la tesi cosiddetta “minimale” della creatività dell’opera dell’ingegno. Si è, infatti, assestata su una soglia relativamente bassa, giungendo a estendere la protezione a programmi poco più che compilativi, ove presentino «un sia pur modesto grado di creatività», ritenendo sufficiente che siano «il risultato di un apporto personale dell’autore»

2. Diritto morale e diritto patrimoniale d’autore

Per poter comprendere come vengono ripartiti, tra le parti, i diritti derivanti dal contratto di sviluppo di software, è necessario, preliminarmente, esaminare alcuni aspetti della disciplina del diritto d’autore, distinguendo il diritto morale dal diritto patrimoniale d’autore; quest’ultimo, in altre parole, consiste nel diritto di sfruttamento economico dell'opera protetta.

Entrambi i diritti vengono acquisiti dall’autore, in modo automatico e incondizionato, con il semplice fatto della creazione dell’opera (cfr. art. 2576 cod. civ.).

Tuttavia, mentre il diritto di sfruttamento economico dell’opera, in ogni modo e forma consentiti dalla legge, è liberamente cedibile –  come accade, appunto, in seguito alla conclusione di un contratto di sviluppo di software - il diritto morale d’autore è, invece, personale e, perciò, non è trasmissibile.

Quest'ultimo, consiste nel diritto dell’autore di essere sempre considerato come l’autore dell’opera – nell'ipotesi in esame, del software - nonostante abbia ceduto a terzi il diritto di sfruttarla economicamente.

In particolare, l’autore può non solo rivendicarne in qualsiasi momento la paternità, ma può anche opporsi «a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera stessa», che possa essere di pregiudizio «al suo onore o alla sua reputazione» (art. 2577 cod. civ.). Il diritto morale d’autore comprende anche la possibilità – esercitabile, però, solo in presenza di «gravi ragioni morali» – di ritirare l’opera dal commercio (art. 2578 cod. civ.).

3. La suddivisione del diritto (morale e patrimoniale) d’autore tra le parti del contratto di sviluppo di software  

Salvo diverso accordo tra le parti, il diritto di sfruttamento economico del software realizzato viene ceduto - per contratto o, comunque, per legge - al committente, che ne acquista la proprietà. Resta, però, salvo il diritto morale dello sviluppatore - o della software house - di essere ritenuti autori del programma.

Questo diritto si estende all’intero lavoro, se il committente si è limitato a ordinare lo sviluppo del software, senza dare alcun apporto creativo all’opera.

La situazione si complica, invece, nei casi in cui il committente ha anche dato un apporto creativo autonomo alla realizzazione del lavoro complessivo.

In genere, l’apporto originale del committente avviene a monte, cioè con la creazione di ciò che poi deve essere tradotto in un programma informatico. Pertanto, gli apporti delle parti sono distinguibili; si può, quindi, dire che è stata realizzata un’opera “collettiva”, costituita, cioè, «dalla riunione di opere o parti di opere, che hanno carattere di creazione autonoma» (art. 3 l. 633/41). In questo caso ogni autore ha il diritto morale d’autore sulla propria parte di opera.

9 giugno 2002

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